puh!

Come descrivere la sensazione di vuoto che si prova quando un click inspiegabile ti cancella tre quarti di un post sentitissimo che ti coccolavi da un sacco di tempo e che finalmente aveva visto la luce? Come descrivere la sensazione di disperazione che ti assale quando, due attimi dopo, la speranza di recuperare lo scritto viene inesorabilmente bruciata dal salvataggio automatico che non avevi chiesto? Come descrivere la sensazione di rabbia che senti crescere vorticosamente da sotto la scatola cranica [un pò anche da dietro lo sterno] e che ti urla di scaraventare il portatile fuori dal balcone di un quarto piano con tutta la forza che hai nelle braccia? Come descrivere la sensazione d'impotenza che ti finisce quando un barlume di lucidità ti fa ricordare che non hai i soldi per comprare un portatile nuovo, rubandoti così l'unica catarsi possibile?

Tutto ciò, semplicemente, non può essere descritto.

basta poco, che cce vo'?!

Stasera tornavo a casa stanca. Una stanchezza dolorosa che si mischiava al freddo che il cappotto non riusciva a contenere. Avrei voluto sbattere gli occhi e trovarmi catapultata sul divano arancione di Andrea. Avrei voluto catapultarmi in un qualsiasi posto caldo e diverso. Guidavo piano e pigiavo senza intenzione i canali della radio.
Ad un tratto è iniziato un pezzo. E ha smesso di piovere. Di fare freddo. E' svanito il dolore portandosi dietro la stanchezza. E Reggio, per due minuti, è diventata bellissima. Sarebbe potuta essere qualsiasi posto del mondo...



...poi, va bè, mentre tentavo invano di imitare la tonalità di Nico mi sono dimenticata di dare la precendenza alle fottute biciclette... ma questa è un'altra storia

un mondo diverso è possibile?

La morte di Monicelli mi ha colpito molto. Continuo a pensarci. Non tanto per il fatto che se n'è andato un grande regista, quanto per il modo in cui ha deciso di farlo.
Un uomo affetto da una malattia terminale decide di farla finita e decide di farlo nel pieno delle sue facoltà. Si getta dal quinto piano di un ospedale.
Una donna, colpita da una malattia che non lascia speranza, rifiuta coscientemente la respirazione artificiale perchè l'idea di vivere immobile, per anni e anni, attaccata ad una macchina, senza poter parlare se non con le palpebre degli occhi per dire sì o no, la terrorizza più della morte stessa. Per far questo deve fare una dichiarazione giurata davanti a due testimoni e al primario di un ospedale. Nella solitudine di una casa deve lasciarsi morire, lentamente, giorno dopo giorno, fin quando l'ossigeno non arriva più al cervello. Ed entra in coma. E dopo poco muore. I familiari vengono accusati di eutanasia indiretta.
Un padre, dopo vent'anni di coma vegetativo della figlia, o meglio, l'ammasso di carne atrofizzata che qualcuno si ostinava a tenere in vita e che un tempo era stata sua figlia, decide che è arrivato il momento di dire basta. E viene massacrato mediaticamente e umanamente. Per mesi.
Un altro uomo, il cui corpo è ormai ridotto ad una tomba di carne e sangue ma il cui cervello funziona perfettamente, chiede disperatamente e lucidamente che si stacchi la macchina che lo tiene in vita. Perchè lui, essendo completamente paralizzato, non può farlo da sè. La mano che lo aiuta viene processata. Ciò a cui è stato sottoposto, mediaticamente e non solo, quell'uomo che voleva solo morire.. ancora non riesco a dimenticarlo.

Ho citato solo pochi esempi, tre piuttosto famosi, uno a me vicino. Se ne potrebbero fare tanti altri e la domanda sarebbe comunque la stessa: ma come si può, in un paese che vuole definirsi civile, tollerare questo stato di cose? Come si può fare per far capire ai cattolici che nessuno vuole ledere i loro diritti ma che non si può più tollerare che si calpestino tutti gli altri in virtù di una fede che non si condivide? Ma lo stato non è laico? E allora perchè l'eutanasia non viene legalizzata? Perchè io devo essere salvata per forza? Salvata da cosa, poi? E se io NON volessi essere salvata? Come si fa a ripulire sto stivaletto di terra dalle montagne di ipocrisia che lo stanno facendo annegare?

Credo di non provare più alcun rispetto per la gente di dio, neanche in virtù di quella diversità che tanto amo. Spero che un giorno riescano a perdonare loro stessi per il male e la sofferenza che con il loro egoismo e la loro paura continuano, senza ritegno, a perpetrare. Ma di più ancora, spero che un giorno diventeremo così forti da riuscire a guadagnarci la libertà di poter morire in modo dignitoso.

Amen.

Aggiornamento:
Munitevi di coraggio e fate click...

alcune cose da fare per un vivere sereno

- mangiare molta verdura (un pò rognosa da preparare ma la stipsi ne trae giovamento)
- non soffermarsi a pensare troppo ai giri astrusi che si compiono per arrivare dove si è (tanto nessuna logica potrà mai spiegarlo)
- non prendersela troppo se alle quattro è già buio (l'inverno è passeggero, come il Natale, 'ngraziaddio)
- leggere i titoli ma non leggere gli articoli (bastano e avanzano per tenersi aggiornati sulla mediocrità che regna sovrana intorno a te)
- non sperare che qualcosa cambierà nel tuo paese, riponi semplicemente la speranza (un domani, semmai si potrà vendere a sacchetti, ti tornerà utile visto che non avrai una pensione)
- curiosare il più possibile (anche rovistare tra le cose vecchie) [mi piace il verbo rovistare, dovevo scriverlo]
- spezzare il monopolio della doccia e fare un bagno di tanto in tanto (impreziosiscilo con una balistica profumata e a distanza di un giorno ti sentirai ancora tutta flu flu)
- frequentare gente che viene da altre parti del mondo (soprattutto quando non si ha la possibilità di andare in ferie)
- fare ogni tanto una puzzetta sotto i portici affollati e assaporare il gusto di farla franca
- pianificare (ma solo per finta)
- smetterla di dire che comincerai a vestirti da femmina (tanto non lo farai)
- finirla una buona volta di sentirsi frustrati per il punto precedente (ricorda: alcune femmine sono femmine a prescindere e tu sei una di quelle!)
- dormire senza mutande (concilia il sonno, favorisce i sogni e la vescica si sveglia senza particolari traumi)
- guardare oggetti tondi roteare ed ascoltarne il fruscio (fai click)

non glielo dite che è irreversibile...

Dopo aver sondato minuziosamente il terreno per mesi e aver creato degli avamposti strategici, ieri ho sferrato l'attacco e l'occupazione si è consumata. Inesorabile. Con un abile strategia di distrazione ho creato una breccia nella roccaforte nemica. L'avversario, pur sapendo in cuor suo che nulla avrebbe potuto, ha provato a opporre una timida resistenza ma è ben presto capitolato. A me l'onere e l'onore di prendere lo spazio che andavo cercando.
Ad oggi posso orgogliosamente annunciare di aver conquistato il primo ripiano dell'armadio di Andrea.

il mondo perde i pezzi

Ieri, cappellino sciarpa e ombrello, mi sono avventurata per la città: mi serviva un uncinetto e del filo.
Già di per sè, decidere di comprare un uncinetto è un atto reazionario, me ne rendo conto. Il volerlo davvero comprare è da sconsiderati. Eh sì, perchè si fa presto a dire:- Voglio un uncinetto. Ma dove lo compri? La risposta è semplice: in merceria. Certo certo. Ma... le mercerie... esistono ancora?
Mi sono messa all'opera e ho interrogato un pò di colleghe e conoscenti. Ebbene, ieri, dopo un'approfondita perquisizione della città, ho scoperto che sì, seppur ben nascoste, a Modena esistono ancora le mercerie (ancora per poco, temo). E' stato quasi commovente entrare in questi negozi d'altri tempi e intrattenermi con signore di un'età media non inferiore ai 70. Chiedere consigli su spessori e consistenze, circondata da bottoni, sigarette di filo colorato, e rotoli di bordi ricamati. Mi guardavo intorno ed ero accerchiata da oggetti curiosi di cui ignoravo l'esistenza. Vedevo queste vecchine indaffarate a prender misure e darsi consigli su lunghezze e quantità. Le ho invidiate un pò, lo confesso, e mi stava venendo da chieder loro: insegnate anche a me, prima di andare al creatore, per favore... non portate i vostri segreti via con voi, lasciateceli qui, lasciateli a qualcuno.  
Comunque, malinconie a parte, alla fine missione compiuta. E ora, catenella sia! 



finito

E' bella la sensazione che si prova quando finisci un lavoro che ti ha succhiato un sacco di energie. Un senso di liberazione, sì, ma anche tanta voglia di godersi la stanchezza, riposandosi. Smetterla di avere quel chiodo fisso fastidioso. Potersi finalmente dedicare a quello vero di lavoro, quello retribuito (da fame, ma retribuito). Pensare di non dover dire più:- Mi spiace, non posso venire, ho troppo da fare- Riportare i libri in biblioteca, frantumare appunti e fotocopie e ricominciare ad accendere il computer solo per casseggiare. Decidere cosa fare il prossimo fine settimana solo in base a parametri del tipo: relax, divertimento, viaggio, concerto, amici e, in caso di maltempo, sesso sfrenato in diversi vani dell'abitazione. E poi farsi un tè a metà pomeriggio e convincersi, una volta per tutte, che in questo paese è totalmente inutile investire soldi e tempo per migliorare il proprio curriculum con titoli che, nella migliore delle ipotesi, possono essere utili solo a pulirsi il culo in caso di carenza imprevista di cartaigienica.
Detto ciò, vado a mettere su il bricchetto dell'acqua e a stravaccarmi a testa in giù sul divano. Yeah!

sempre avere un piano B

A freddo, sabato, senza preavviso alcuno, il palcoscenico mi ha chiamato di nuovo. Il microfono mi è piombato in mano e si sono aperte le danze. Di fianco coreografe personalissime. Intorno scenografie parietali pubiche e schiumose. Di tanto in tanto gli occhi del mio moroso [lo dico alla emiliana maniera, to' mo'] sopravvissuto magistralmente alle grinfie di uno slippino leopardato. Se non fosse che la Marchesa de Sade mi ha bruciato sul tempo i cavalli di battaglia, sarebbe stato tutto perfetto. L'occasione era troppo ghiotta per scoraggiarsi e ho fatto la mia porca figura con  l'altro mio classico, quello rromantico. A fine serata gli astanti entusiasti mi hanno omaggiato dell'appellativo: Caterina Caselli de' li Castelli.
Che vi devo dire, son cose che danno soddisfazioni in questo mondo triste.


Si, però la Marchesa non me lo doveva fare... adesso me la metto su e me la canto. E la dedico, ovviamente, a tutti quelli che ai fanatici in pelle ci credono davvero!

Emily tries but misunderstands, ah ooh

Quando arriva l'autunno e il tempo si fa bigio mi torna in mente il paesello dove sono cresciuta. Sarà che i colori si spengono e tutto si tinge di grigio; sarà che quel posto si è succhiato gratis la mia adolescenza e a distanza di anni non riesco ancora a perdonarlo. Mi dà uno strano malessere misto a malinconia il ripensarci. Il più delle volte cerco di concentrarmi su altro per non farlo.
Spesso mi son sentita dire che il posto da cui veniamo è importante e, con lui, le persone che ci hanno accompagnato. Ci provo tante volte a guardarmi indietro ma la mente fa fatica ad abbracciare qualcosa di confortevole. Vivo il ricordo come una colpa: la colpa di aver fatto le cose sbagliate, di aver scelto le persone sbagliate. La colpa di esser nata lì, di non esser stata abbastanza forte da non lasciarmi sopraffare da ciò che avevo intorno. Da ciò che, nel corso degli anni a seguire, avrei potuto fare e non ho fatto.
Ho passato un' infinità di giorni a cercare, tra le persone, negli angoli della città; a intruppare contro dinamiche che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capire; a sognare dal chiuso di una stanza, su una collina poco distante. Un giorno ho deciso di smettere, ho fatto spallucce e me ne sono andata, con un pugno di mosche in tasca e la voglia di non tornare più. Non me ne sono mai pentita, ma da allora è come se mi portassi dietro un blocchetto di cemento che tengo dentro, in un posto dove nessuno può arrivare. E' lì, ne sento il peso e, a tratti, l'invadenza.
A volte ho la sensazione che non riuscirò mai a liberarmene.

iniziative

L'atteggiamento degli automobilisti emiliani verso i ciclisti mi colpisce incredibilmente. C'è qualcosa di poetico nella premura che riservano alle vecchine cariche di buste della spesa che si fiondano, incuranti del rischio, sulle strisce pedonali guidando le loro due ruote d'altri tempi.
Forse se iniziassimo a stirarne qualcuna invece di lasciare un terzo di copertoni sull'asfalto, si degnerebbero di buttare un occhio. Quantomeno.

benvenga l'autunno

La caffettiera borbotta. E' pronto, finalmente. La lavatrice farfuglia in lontananza, non so perchè ma trovo rassicurante il suo linguaggio circolare,
shhscshh, uo uo uouowowowiwiiviviviiwowououo uo uo, shhhscshh.
Casa di Andrea mi piace un sacco, è piena di colore e di fumetti ammonticchiati ovunque. Anche di cd ammonticchiati. E dvd. E' un disordine composto, il suo. Un disordine che sa farsi perdonare. Ci sto bene in questo angolo di mondo, ci sto proprio bene. Gironzolo non ancora pantofolata, slavoricchio, preparo il rancio per domani a lavoro. Ogni tanto esco sul balcone, fumo una cicca e mi guardo i sonnacchiosi colli emiliani. E penso. Due cose. 1. E' bello non lavorare il pomeriggio. 2. Non vorrei essere in nessun altro posto.

faccio e disfaccio

Le partenze mi mettono sempre un pò d'agitazione. Mi ritrovo a girare e rigirare senza una ragione precisa, a far cose che non son necessarie di per sè. E' l'attesa che arrivi il momento di levar le tende, è lei che vuol essere colmata. E la trovo una cosa buffa, nella sua inutilità. E' come se tutto si fermasse in funzione di quel momento lì. Partire. Come se dopo non ci fosse nulla. Poi però pensi che ogni volta che sei partito ti sei ritrovato in un dopo, e un altro dopo lo ha seguito, e così via. E allora dimentichi di avere atteso e, a pensarci ora, fatichi a trovarci un senso a questo stato d'animo che pure ti prende. Ma poi... perchè bisogna trovarci un senso? Quasi quasi continuo a trotterellare in tondo. Fuori ha fatto buio, la musica in sottofondo gironzola nell'aria... e io aspetto che domani arrivi. Che male c'è a lasciare un pò di fili sparpagliati nel mentre? Nulla. Proprio nulla.

non può essere, voglio andare in giappone

Oggi è stata una giornata dura a lavoro, sono davvero stanca. Non ho fatto un giorno di ferie e non ne farò ancora per un pò. Ma oggi in particolare è stato faticoso e domani lo sarà ancora, per un motivo di 11 lettere: congiuntivo. Chi di voi mi conosce e sa quello che faccio penserà: lo credo bene! Ma mi dispiace deludervi: a forza di spiegarlo agli altri, ho finito per impararlo anche io (almeno il presente e il passato). No, il dramma non sono io in quanto presunta parlante di lingua italiana. Il dramma è il binomio congiuntivo-giapponese. Inconciliabile. Quando cominci a studiare il congiuntivo diventi adulto, linguisticamente parlando. Passi dalla sfera del reale, del concreto ( ieri ho fatto, oggi faccio, domani farò, ecc) a quella delle opinioni personali, delle supposizioni. Smetti di dire per me/ secondo me o di raccontare solamente cosa hai mangiato il giorno prima e le abitudini che avevi da piccolo; puoi finalmente urlare al mondo io ritengo che sia giusto, io credo che sia sbagliato, io penso che, IO PENSO. Cristo! Ma come si fa ad estorcere un'opinione personale a un giapponese senza farlo sembrare una violenza carnale? Qualcuno sa dirmelo? Non si può parlare di storia, di politica, di letteratura, di nulla che trascenda dalla realtà quotidiana spicciola. Io sono affranta.

P.s. Oggi ho scoperto una cosa, anzi due, che dovrebbero farmi riflettere:
1- In giappone i macchinisti dei treni devono far fermare il treno in un punto esatto della stazione affinchè tutte le persone possano fare la fila in un punto preciso, nel punto cioè dove si fermerà esattamente il treno. Se sfora due metri, cito: la notizia finisce in TV (ero basita);
2- Il lavoro comincia alle 8.00 di mattina. Significa: otto, zero minuti, zero secondi. Se timbri il cartellino alle otto, zero minuti, un secondo.... suona l'allarme (non ho voluto approfondire).

bona cicorietta ripassata de noantri

L'erbazzone emiliano è un'esperienza crudele che continuo a sperimentare. Lo vedo, resisto, non lo compro. Lo rivedo, riresisto e non lo compro ancora. Poi, di tanto in tanto, cedo. Dopo che ho ceduto, soffro. E mentre soffro, come ora, non rinnego, no. Ma rimpiango, sì.

(burp! Proviamo a digerirlo burp! con un pò di je je.....)

agosto se ne va

Ma quando è cominciato? Ricordo appena di aver segnato le date con l'otto nella casellina dei mesi nei registri di classe. Quanti occhi ho guardato? Quante parole ho pronunciato? Un'infinità, forse due. Ma finisco sempre per ricordare poco e niente. Ho la sensazione di vivere in un eterno presente, che va avanti e lascia un dietro, ma di cui colgo solo il momento in cui lo vivo. La cosa non mi dispiace, anzi. Vorrei solo esser meno stanca, mica chiedo tanto. Vorrei passare un pò di giorni in mutande a grattarmi la pancia e a non dover pensare a come impapocchiare lezioni a classi improbabili. A prendere un pò di sole per togliere il pallore. A bere birra e ruttarla se mi va. A far l'amore di martedì sera, o di mercoledì. A prendere la macchina e partire all'improvviso e casomai non tornare per giorni. Sonnecchiare. Farfugliare cose senza senso. Rotolarmi per terra. Mangiare qualcosa di nuovo. Giocare a nascondino. Cantare canzoni improbabili. Ecco. Cose così. E invece stasera perderò il concerto dei Righeira alla festa dell'umidità di Modena e, cosa assai più grave, domani la sveglia suonerà alle 7. Mondo carogna!

sshhh

Silenzio, dissolvenza, frastuono, dissolvenza, silenzio.
C’è il festival delle bande militari in città. Le si incontrano da giorni in angoli improbabili. Arrivano da lontano e se ne vanno prima di poterle vedere, per qualche strada di cui ancora non ho imparato il nome. Ho sempre covato simpatia per i musicisti di strada e i bandaioli sono i più simpatici di tutti. Forse perché fanno musica d’insieme, forse per l’armonia che sanno generare, andando. Chissà dove, poi.
Tra poco è venerdì e la cosa mi riempie di gaudio. Quasi dimentico il duro della sediola di legno su cui sono accovacciata, unico punto d’appoggio nella mia improbabile stanzetta modenese. Non ho una gran voglia di scrivere in questo periodo: il tempo se ne corre via da sé, in modo così leggero che non posso fare altro che osservare il suo passaggio, appoggiata alla ringhiera del mio balcone immaginario. Non ci provo nemmeno a fissarlo su una pagina bianca. A che scopo?
Ultimamente ho imparato un po’ di cose nuove e questo è sicuramente un bene. Ho avuto delle conferme che un po’ mi aspettavo e questo mi dà sicurezza. Ho fatto qualche scoperta più o meno piacevole e cerco di conviverci come posso. Ho anche deciso che va bene così, voglio prendere tutto. Il bello, il brutto e le sfumature di mezzo. Del tipo: domani vado al mare e il governo pone l’ennesima fiducia. Voglio abbronzarmi e vedere fino a che punto riusciamo a scavare nella melma in cui ci siamo confinati. Ohibò!
Poi ci sono le piccole gioie quotidiane che mi fanno tornare in mente quanto mi piace il lavoro che faccio: il ‘cellulino’ della studentessa ungherese che è venuto alla luce giusto ieri, dopo un appassionato incontro tra un telefonino e un cellulare; la ‘super media’ , ovvero periodo scolastico non ben definito tra le medie e le superiori; e l’imperdibile ‘aria condizionale’ dell’appartamento della fortunata studentessa svedese… me la immagino affranta dal troppo lavoro dire: - Soffierei… o non soffierei? - Cose così.
Ma ecco un'altra banda. La sento, da lontano. Tra poco sarà qui. Chissà da che paese arriva?
Silenzio, dissolvenza, frastuono, dissolvenza, silenzio.

sapevatelo

Vorrei vederlo in faccia. Guardarlo nelle palle degli occhi. Secondo me deve essere un lui, per forza, o al massimo una lei frustratissima che non fa all'amore da tanto, troppo tempo. Io vorrei vedere che faccia ha l'essere che ha avuto questa grande pensata e che è stato anche pagato per partorirla. Voglio ammirare il genio che in lui cova. Applaudirlo. Complimentarmi con lui. Esprimergli tutto il mio gaudio, la mia simpatia, la mia sconfinata gratitudine. Perchè da quando ha avuto il guizzo di far stampare quelle pillole di saggezza sugli involucri degli assorbenti la mia vita è cambiata. Sono una donna nuova, ho mille possibilità, il mondo è mio. Non devo più lanciarmi col paracadute o fare la ruota per dire addio agli indicibili dolori mestruali. Ora arricchisco la mia conoscenza ed ho sollievo.

  • Lo sai che durante il ciclo mestruale è consigliabile indossare indumenti comodi e traspiranti? Sì? Davvero? Accidenti, dovrò fare a meno del mio amato scafandro. Che disdetta!
  • Lo sai che la sindrome premestruale colpisce maggiormente le donne che lavorano fuori casa? Premesso che se ti sto leggendo, la fase pre- è già bella che passata... Cosa vuoi dirmi con questo messaggio? Forse volevi dire che le casalinghe hanno una sindrome premestruale meno accentuata? Dici? Proviamo a fare un sondaggio fra i mariti/compagni?
  • Lo sai che durante il ciclo è comportamento molto comune desiderare alimenti dolci? e/o Lo sai che è un bisogno molto comune desiderare un dolcetto nel periodo mestruale? Certo che lo so, imbecille! Perchè senti il bisogno di dirmelo? Pensi così di attenuare il mio senso di colpa? E se ti dicessi che lo stesso comportamento è comune a quelli che non trombano da un pezzo? Ti senti più tranquillo ora? Mal comune mezzo gaudio, funziona?
  • La frutta secca può regalarti un naturale effetto relax. C'ho i diverticoli, se mangio frutta secca muoio. Ti piacerebbe, eh?
  • Lo sai che un semplice bagno caldo può alleviare i crampi mestruali? Cosa? No, grazie, preferisco: Lo sai che con la semplice borsa dell'acqua calda puoi alleviare il dolore alla pancia? Che bella immagine, però! Una già si sente un cesso quando ha il ciclo, ma tu impreziosisci pure il quadretto, non privarti!
  • Lo sai che esistono piante, come l'agnocasto e il tanaceto partenio, con effetto benefico sui disturbi mestruali? Davvero? Ora scappo dal verduraio di fiducia e gli chiedo: A Rocco, mica che t'avanzano du scudi de tanaceto partenio? Si nun cell'hai nun fa gnente, m'abbasta pure 'n pugnetto d'agnocasto.
  • E' buona abitudine intensificare le normali pratiche igieniche durante il periodo mestruale. Voglio i numeri: quanti bidet al giorno mi debbo fare? Dimmelo!
  • Lo sai che il dolore al seno in fase pre-metruale è dovuto all'ormone prolattina? E ora che lo so?
  • Lo sai che fino a due anni dalla prima mestruazione è normale che il ciclo ritardi o salti un mese? E cosa vuoi che me ne freghi, son passati 25 anni luce dalla prima mestruazione!
  • Il termine 'lunatica' riferito alla donna deriva dalle credenze che ritengono la vita della donna influenzata dalla luna. Ok, va bene, siamo un pò insopportabili noi donne in alcuni momenti del mese, lo ammetto. Nelle culture di tutto il mondo è presente un legame tra la luna e la donna perchè entrambe hanno un "ciclo" di 28 giorni. Ti ho detto che va bene, siamo insopportabili in quei giorni lì. Secondo antiche credenze la luna nuova corrisponde ai giorni delle mestruazioni mentre la luna piena, simbolo di fertilità, a quelli dell'ovulazione. Sine! Ho capito. Le quattro fasi lunari sono state spesso collegate alle quattro fasi del ciclo femminile. Ancora? Insisiti? In Francia i giorni del ciclo vengono chiamati "le moment de la lune"...
    Sai che nova c'è, signor inventore delle pillole di saggezza? Ma vaffanculo - te, la lune e tutte le credenze del firmamento!

del passegger che il suo cammin ripiglia

Il mare sembra calmo. La superficie, increspata dalla brezza, fa venir voglia di tuffarsi e lasciarsi andare al dondolio della marea. A dispetto di quello che sotto si cela e che si presume ci sia. Incurante di quella forza che può inghiottirti, se vuole, e toglierti il respiro.
Ho passato un tempo infinito a guardare, dal ciglio della riva, le onde arrivare minacciose e morire disciolte ai miei piedi, in frantumi di schiuma e granelli di sabbia. Speranze e desideri risucchiati da un'anima grande, lontano. Troppo lontano per volerli riacchiappare.
Ho perso l'equilibrio più e più volte, perchè a star fermi su un piano instabile si rischia di cadere. E non era ovvio o banale come può sembrare ora a ripensarci.
La paura, quella che ci fa rinunciare prima di iniziare, quella che ci fa abbandonare la partita lasciandoci dentro quel terribile senso di incompiuto, quella che tante volte la nostra ostinazione vorrebbe disintegrare, ma non ce la fa. La paura è un segnale che bisogna rispettare, ed imparare a capire. Come la febbre per l'organismo o le rondini che volano basse per il tempo a venire.
Ho avuto paura e non mi son lasciata andare. Ho avuto paura, ma non son caduta. Forse ancora ce l'ho, paura.
Ma ora che il vento ha smesso di sferzare l'acqua senza un briciolo di clemenza; ora che il frastuono delle onde ha smesso di essere assordante e il sole è tornato a illudere di azzurro; ora, è tempo di tuffarsi.

ciaf
ciaf
ciaf
ciaf
...

° in doubt